Processo Parolisi: ridotta la pena a 30 anni.Il colpevole resta lui

Nove faldoni raccontano, senza prova regina e confessione, perché per l’accusa l’assassino è lui. Prove indiziarie che, per il giudice di primo grado Marina Tommolini, hanno evidentemente consentito la ricostruzione del fatto e delle relative responsabilità in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione. Prove indiziare che hanno portato il PG Romolo Como a chiedere la conferma del carcere a vita, pur con la necessità, ha detto il magistrato, di rivedere le motivazioni della sentenza di primo grado. A cominciare da quelle sul movente: che per Como resta quello dell’imbuto passionale in cui Parolisi è finito tra le richieste dell’amante e i sospetti della moglie.
Per la difesa resta solo un castello di congetture ipotetiche e fantasiose, un’accusa mobile non provata che cambia di magistrato in magistrato: «Perchè Salvatore non era a Ripe, perchè nulla lo può provare». Il codice ricorda che è un rito abbreviato in fase d’appello nell’ambito del quale le parti non possono chiedere altre perizie, ma è solo la corte che ha la facoltà di concedere. E su questo la riserva sarà sciolta questa mattina, nell’ultima delle tre udienze del processo bis. Che si gioca non solo sulla colpevolezza o innocenza di Parolisi. I calcoli, che possono sembrare spietati ma sono dettati da regole ben precise, dicono che in questo secondo grado le aggravanti di un omicidio possono fare la differenza. Aggravanti che, oltre a quelle del vincolo di parentela, per Parolisi sono la minorata difesa e il vilipendio. Se non verranno confermate accusa e difesa sanno che la pena dell’ergastolo non potrà essere applicata. E quindi, in questo caso, condanna sì ma senza il fine pena mai. Scenari diversi, dunque, tutti supportati da tecnicismi giuridici che oggi saranno esaminati dalla corte composta da due togati e sei popolari (presieduta da Luigi Catelli, a latere Armanda Servino).
Lui, Parolisi, la sua verità l’ha detta ancora nelle dichiarazioni spontanee rese il giorno dell’arringa dei suoi difensori: tradiva Melania, ma l’amava e non l’ha uccisa. Per provarlo ha consegnato ai giudici le lettere scritte e ricevute nel 2010. Missive d’amore dopo il tradimento del caporalmaggiore. A sentirlo in aula anche il padre e il fratello di Melania. «Da due anni lo sentiamo dire le stesse cose», dice Gennaro Rea, «ma quello che le indagini hanno raccontato è cosa diversa. Gli abbiamo chiesto di dirci la verità ma lui non l’ha mai fatto.Nemmeno quando ci ha giurato di farlo. Ora aspettiamo e confidiamo nella giustizia. Abbiamo una bambina da crescere e a cui raccontare perchè non ha più la mamma». Aggiornamento: dall’argastolo, la Corte d’Appello de L’Aquila, dopo otto ore di camera di consiglio, é stata ridotta la pena a 30 anni di reclusione. Per la Corte, comunque, resta il killer di Melania Rea, sua moglie e mamma di sua figlia, che il 18 aprile 2011, nel boschetto delle Casernette di Ripa di Civitella del Tronto, fu ammazzata con 37 coltellate.