Fini spiega lo strappo da Berlusconi ed elogia l’Abruzzo

fini-gianfranco-mega800(wn24)-Spoltore –  Un Abruzzo progredito, negli ultimi vent’anni, da ultima regione meridionale fino al livello delle regioni più sviluppate del resto d’Italia. Parola di Gianfranco Fini che, nel pescarese per presentare il suo ultimo libro ‘Il Ventennio’, schiva la valutazione sulla gestione del pidiellino Gianni Chiodi ed esalta il passo in avanti della terra natale di Daniele Toto, attuale coordinatore nazionale di quel Fli che Fini ha fondato e poi lasciato all’indomani del fallimento elettorale.
Primi passi di campagna elettorale, in quel di Spoltore, per la nuova destra abruzzese, mentre l’ex presidente di Alleanza Nazionale si preannuncia figura marginale di una destra che non riconosce più come sua, prende le distanze dai rigurgiti di Filippo Storace: “Non ho intenzione di rifare un partito, né di bussare alla porta di qualcuno per avere un posticino alle prossime elezioni”. Fini sottolinea di non aver nessun contatto con La Russa e di non essere legato alle intenzione di Storace nel rifondare An nemmeno da questioni burocratiche: “Il marchio appartiene alla Fondazione Alleanza Nazionale e io non sono nemmeno iscritto”.
“Io, Berlusconi e la destra tradita”, è il sottotitolo del ventennio ’93-2013 ricostruito nel libro dall’ex Presidente della Camera e che, evidentemente, solletica l’interesse anche degli schieramenti opposti al centrodestra.
Se per la sinistra l’antiberlusconismo è raison d’etre, eroica rimane la decisione di Fini di non piegarsi più ai capricci del premier del Pdl e uscire dalla coalizione sbattendo la porta. Anche per questo, forse, oltre allo scontato parterre destrorso, a comporre la platea del dibattito intrattenuto dal giornalista de L’Espresso Primo Di Nicola c’erano anche Luciano Di Lorito, sindaco padrone di casa del Partito Democratico, e Antonio Luciani, altro sindaco Pd di Francavilla al Mare. Fini li appaga con parole da ‘compagno’: “Voglio un Italia con il Welfare Opportunity, che garantisca opportunità ai giovani, la categoria più debole di tutte”, e ancora, “Io non voglio dire qualcosa di destra, voglio fare qualcosa per la qualità complessiva del Paese e non interessi di parte: Forza Italia, invece, difendeva il popolo della partita Iva piuttosto che i lavoratori dipendenti, il nord piuttosto che il sud, scelte che non devono rientrare in una filosofia politica nazionale”.
Checché ne dica nel libro, incentrato sugli errori commessi da una destra non più riconosciuta, Fini accosta il parallelo del suo ventennio alla conduzione politica di un Paese nel riflesso di Silvio Berlusconi. “Non ho rimpianti”, ha detto ,”sulla nascita del Pdl, continuo a pensare che è stata una scelta giusta. L’errore più grande, invece, è stato non accorgermi prima della natura di Silvio Berlusconi, ma se tornassi indietro rifarei esattamente le stesse cose, con tutte le conseguenze del caso”. Non rinnega, dunque, “essere stato  tra quelli che hanno votato il porcellum, non potevo tirarmi indietro, gli italiani non avrebbero capito”, bensì si dispiace, ai tempi della presidenza della Camera, “di non aver mai pensato che la richiesta di Berlusconi per far accorciare i tempi di prescrizione potesse condurre, un giorno, alla condanna definitiva avvenuta lo scorso 1 agosto”. In ogni caso, Fini non si piegò: “Il mio strappo con Berlusconi”, rivela con orgoglio, “cominciò quando rifiutai di far passare a Giulia Bongiorno – Presidente della Commissione Giustizia –  gli emendamenti e le leggine scritte dall’avvocato Ghedini”. Come dire di aver messo i bastoni fra le ruote alle leggi ad personam di quel Berlusconi che, alla fine, fece dichiarare la sua posizione dissidente incompatibile con quella di Presidente della Camera. Il resto è storia.
 

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