Eroi per un Giorno. Enrica Colagrande, Presidente comitato C.R.I. di Roseto:”Soccorrere con il Coronavirus è molto triste”

Eroi per un Giorno. Enrica Colagrande, Presidente comitato C.R.I. di Roseto:”Soccorrere con il Coronavirus è molto triste”

(wn24)-Redazione – (di Loris Cattunar) – L’Editore, il Direttore e la redazione di https://www.wallnews24.it ringraziano per la preziosa testimonianza di Enrica Colagrande, Presidente del comitato della Croce Rossa Italiana di Roseto Degli Abruzzi.
 
L’occasione per puntualizzare che gli operatori del pronto intervento sono gli stessi del prima Coronavirus:  sempre pronti a donare una parola di coraggio e una pacca sulla spalla. Ora a causa del Covid 19 sono costretti, per motivi di sicurezza sanitaria, a seguire un protocollo diverso e sono gli stessi operatori che “soffrono” per la condizione quasi “disumana” con cui vengono accompagnati i malati: senza un semplice abbraccio, senza un piccolo tocco sulla spalla. Insomma, nulla di nulla. Non per questo, però, dimentichiamo che sono loro, i soccorritori, gli angeli- guerrieri della notte e del giorno e i veri “Eroi per un giorno”. Sempre in prima linea per combattere il nemico invisibile. 
 
Ecco, quindi l’emergenza Coronavirus vista con gli occhi di un soccorritore, da dove emerge tutta la tristezza che accompagna l’importante servizio sanitario..  “Ci approcciamo al paziente in modo diverso- dice Enrica Colagrande, Presidente della CRI di Roseto-  perché non abbiamo quasi nessun contatto fisico, per i protocolli da seguire. Noi di solito stringiamo la mano al paziente durante la corsa in ospedale, qui non possiamo farlo per le contaminazioni da evitare e quindi cerchiamo di rassicurarlo parlandogli e dicendogli che siamo con lui lì vicino e che li consegneremo in buone mani e che deve essere forte e non avere paura. 
 
La cosa più triste pero è il distaccamento del paziente dalla sua famiglia, sono vietati gli abbracci ed i baci, sono vietate le carezze e spesso dobbiamo essere duri con i familiari invitandoli a lasciare la stanza. È una cosa molto brutta da fare, ma per la loro sicurezza siamo costretti a farlo. A volte capita che vogliono salutare il malato guardandolo attraverso il finestrino dell’ambulanza e quando poi partiamo si stringe il cuore perché sappiamo che per giorni non potranno vedersi quando va bene e speriamo sempre che non vada male e che si possano riabbracciare. 
 
È triste- puntualizza l’esponente della CRI di Roseto- non poter far vedere il nostro viso alle persone che è coperto da mascherine, occhiali e visiere, ma dietro tutte queste protezioni ci sono i nostri occhi che spesso si gonfiano di lacrime che siamo costretti a trattenere. Quando torniamo in sede parliamo sempre del paziente trasportato e speriamo che il virus lo lasci in pace. A volte ci capita di chiedere informazioni all’ospedale, perché ogni persona trasportata, seppur sconosciuta, entra in ognuno di noi in maniera prepotente, più di tutte le altre volte. 
 
Abbiamo vissuto tante emergenze- conclude Enrica Colagrande-  come terremoti, alluvioni, incidenti gravi, ma questa volta è diverso perché incontriamo sempre gli stessi sguardi, sempre le stesse sensazioni e ascoltiamo sempre le stesse frasi dei familiari. Quando sappiamo che qualcuno non ce la fa siamo tremendamente dispiaciuti, ma se qualcuno invece torna a casa e ce lo fanno sapere ne siamo felici. Qualche volta è capitato che chi è tornato a casa ha chiamato la sede CRI per ringraziarci, per dirci che lo abbiamo salvato. Noi diciamo che sono stati i medici a salvarlo e che non devono ringraziarci, perché facciamo tutto con lo spirito di un soccorritore come sempre, conservando la speranza:…..” se oggi siamo lontani, ci riabbracceremo domani.”
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