Abruzzo e la transizione digitale,Vincenzo Casolani, ex comitato ICT:” Siamo indietro e con risorse spese in mille rivoli”

Abruzzo e la transizione digitale,Vincenzo Casolani, ex comitato ICT:” Siamo indietro e con risorse spese in mille rivoli”

(wn24)-Redazione – L’ennesimo tentativo di rinnovare il sistema Italia attraverso le nuove tecnologie digitali è ormai al via. Il primo ministro Draghi ha già istituito presso la presidenza del Consiglio dei Ministri una vera e propria task force in cui fanno spicco  Colao, Giorgetti, Speranza, Cingolani, Brunetta ed altri con l’obiettivo di “Promuovere, indirizzare, coordinare e verificare l’azione del Governo nelle materie dell’innovazione tecnologica, dell’attuazione dell’agenda digitale italiana ed europea, sviluppare la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni e delle imprese …”. 

È ormai evidente che la transizione digitale non è soltanto la via per il rilancio della nostra economia, ma anche lo strumento per rendere efficiente la Pubblica Amministrazione. È l’Europa che lo chiede, visto che siamo gli ultimi della classe, e subordina gli ingenti finanziamenti previsti dai fondi del Next Generation Eu, di cui il 20% dovrà essere utilizzati per progetti di innovazione, ad un piano credibile che possa far riallineare il nostro paese al resto d’Europa.

Ma veramente siamo messi così male? E come è possibile che sia accaduto tutto questo in un paese industrializzato come l’Italia.

Lo abbiamo chiesto a Vincenzo Casolani, già vice presidente della Confcommercio della provincia di Teramo, membro del Comitato di Coordinamento del ICT Abruzzo ed esperto di tecnologie digitali.

Quali sono gli indicatori che ci portano ad essere in ritardo sulle tecnologie digitali?Negli ultimi anni si tenuta una maggiore attenzione alla parte infrastrutturale attraverso grandi investimenti per le reti digitali. Molti pensano che le reti digitali e le tecnologie per il 5G rappresentino un obiettivo centrale per lo sviluppo di una transizione digitale, ma se andiamo a ben vedere ci accorgiamo che da questo punto di vista non siamo affatto in ritardo (anche se qualcuno dice il contrario), e sia la copertura che la velocità delle reti sono in linea con gran parte del resto d’Europa. Invece se andiamo ad analizzare i dati il vero ritardo è nella qualità e quantità di servizi che viaggiano sul web. È come se avessimo continuato ad investire sulla rete autostradale ma non fossimo in grado di produrre automobili. Gran parte di ciò che gira sul Web (servizi, processi ecc.) è obsoleto, se non addirittura sgrammaticato e inefficiente. 
Ma questo raramente viene messo in evidenza. Sono proprio molte delle maggiori aziende del ramo informatico che siedono ai tavoli dell’innovazione e nelle commissioni ministeriali, che hanno un fortissimo ritardo tecnologico motivato dal fatto che hanno preferito approfittare di una incompetenza diffusa per proporre progetti inutili spesso con tecnologie superate, piuttosto che fare nuovi investimenti tecnologici e lavorare sui nuovi standard di sviluppo. Una tecnologia digitale in genere ha un livello di evoluzione molto rapido, nel giro di due o tre anni ciò che era uno standard accettabile diventa irrimediabilmente obsoleto, sia per quanto riguarda l’uso dei linguaggi di programmazione, sia per l’implementazione dei Framework, senza contare l’evoluzione dei Browser, dei microprocessori e delle tecnologie di rete. 
La rete Internet italiana, è prevalentemente popolata da quelli che definiamo“ Siti internet”, che rappresentano una dimensione statica o quantomeno primordiale, in grado solo di visualizzare testo e immagini utilizzando semplici linguaggi di scripting, scaricabile con pochi euro e personalizzabile da chiunque abbia una minima conoscenza delle modalità di utilizzo dei “content” come WordPress. Invece per quanto riguarda i processi e i servizi web abbiamo una situazione piuttosto differenziata a seconda del settore economico. Ad esempio quasi tutte le banche italiane hanno un servizio di home banking, mediamente discreto, che permette di effettuare diverse operazioni senza andare fisicamente ad uno sportello; in altri settori come ad esempio il turismo il ritardo è più evidente, in quanto i sistemi di ricerca e prenotazione, come Booking, Espedia, sono in mano ad aziende straniere che succhiano commissioni altissime alle strutture ricettive. La pubblica amministrazione è messa peggio di tutti. Gran parte dei processi di gestione non vengono gestiti attraverso il web, oppure sono antiquati e fuori dagli standard di programmazione. In molti casi il flusso di informazioni e il tipo di interazione con l’utente è stato pensato con un approccio più da burocrate o avvocato che da un analista informatico. Questo porta ad impiegare procedure scomode e complesse se non addirittura impossibili da utilizzare. Basta ricordare l’ultimo dei disastri della P.A. l’App “Immuni” che ha fallito sia nelle modalità operative che nell’effettiva utilità a regime. Sarebbe bastato utilizzare semplici sistemi di geofancyng associati al telefono dei soggetti contagiati e monitorarli attraverso un sistema automatico, applicando requisiti di sicurezza e privacy anche superiori a quelli scelti.

Quali sono gli elementi principali che hanno vanificato gli investimenti pubblici sulle nuove tecnologie digitali?

Le tecnologie digitali per loro natura sono immateriali e in un contesto dove la cultura digitale (nonostante quanto si pensi) è praticamente nulla, rappresentano un boccone molto ambito dalla criminalità e dalla corruzione. Forse non è ancora finita l’epoca in cui la criminalità si interessava allo spaccio di droghe o allo smaltimento dei rifiuti, ma si è compreso che è molto più semplice vendere ad un soggetto compiacente qualcosa che realmente non c’è o quantomeno non è visibile: il software. Visto che pochi sono in grado di verificare le caratteristiche del codice informatico, gran parte dei grandi finanziamenti alla P.A. dal 2006 ad oggi non hanno prodotto nulla anzi hanno creato terreno  fertile per la corruzione e per gli illeciti finanziamenti, ma questa è un’altra storia.

Quali sono i successi della P.A. nel campo della digitalizzazione ?

Se andiamo a spulciare i grandi progetti sull’innovazione dettati dai corposi studi di Agenda Digitale ci accorgiamo che molti sono in ritardo di anni o non sono mai riusciti ad arrivare a compimento. Ricordiamo la CIE (carta d’identità elettronica) progetto in essere da oltre un decennio e che non si capisce perché stenta a diffondersi su tutto il paese. L’identità digitale “SPID”, affidata ad una pletora di gestori pubblici e privati ma tutti scollegati tra loro. L’anagrafe comunale di tutto il paese, avviata da anni ed ancora in alto mare. I sistemi di pagamento digitali della Pubblica Amministrazione (PAGOPA) sono operativi solo per pochi Comuni. Per non parlare del sistema CONSIP, per gli acquisti della Pubblica Amministrazione, che unisce ad una tecnologia arcaica (in cui i dati vengono scambiati attraverso fogli excel), una fruibilità praticamente folle in cui l’applicazione di regole e contratti risultano inadatti o sbagliati per quel tipo di strumento. Il risultato è che invece di tutelare i fruitori del servizio ne favorisce le devianze (come le cronache giudiziarie ci hanno riportato).

Di cosa si occuperà il Comitato interministeriale per la transizione digitale (Citd) guidato da Draghi ?

In particolare, il programma servirà a finanziare lo sviluppo di progetti in 5 settori fondamentali:

  • adozione di sistemi di calcolo ad alte prestazioni;
  • intelligenza artificiale;
  • sicurezza informatica ;
  • sviluppo di competenze digitali avanzate;
  • un ampio uso delle tecnologie digitali nell’economia e nella società.

In particolare penso che gli ultimi due punti siano il cuore del problema. Le competenze digitali, in particolare, sono molto scarse e spesso datate anche all’interno delle Università. Questo fattore ha l’effetto di produrre un esercito di ingegneri informatici e programmatori non formati adeguatamente su tecnologie recenti, carenti sulle modalità di sviluppo in ambiente Web o formati solo su pochi linguaggi e ambienti di sviluppo. La responsabilità è soprattutto dello Stato che ancora non è riuscito a definire quali e quante siano le attività, i ruoli e le competenze in ambito digitale, cosa che ha ulteriormente confuso qualsiasi processo innovativo. Progetti web affidati a società che lavoravano solo in ambiente desktop, processi informatici affidati a società che realizzavano siti web statici ecc.

Quello delle competenze è il vero problema, intelligenza artificiale e cyber security sono tecnologie e modalità di utilizzo dei sistemi e ambiti di sviluppo ben determinati e facilmente programmabili una volta che sappiamo chi sa fare cosa e con quale abilità e competenza.

Il Comitato interministeriale per la transizione digitale attiverà una rete di poli europei dell’innovazione digitale che dovrà favorire l’accesso a nuove competenze tecnologiche da parte di imprese e Pubbliche Amministrazioni. Cosa ne pensa?

Per quanto ne sappiamo, il progetto è stato pensato soprattutto per aiutare le Amministrazioni Pubbliche che hanno bisogno di nuove soluzioni tecnologiche, promuovendo le aziende che dispongono di soluzioni pronte per il mercato. Questo, che potrebbe sembrare un approccio scontato al problema, ha avuto in passato un forte elemento di criticità: con quali strumenti e con quali procedure le Pubbliche Amministrazioni vanno a stimare un prodotto informatico per la gestione di un processo, se al proprio interno non sussistono figure professionali e competenze in grado di valutare non solo una interfaccia grafica, ma anche la qualità della tecnologia utilizzata, i linguaggi, il codice e l’efficienza del processo. Molti Comuni italiani, specie  quelli più piccoli, dispongono di un geometra forse anche di un ingegnere per le problematiche edilizie, ma non hanno personale specifico per quanto riguarda le tecnologie digitali e la gestione dei processi telematici.
 Questi Comuni per supplire a queste carenze spesso si rivolgono ad una ditta di fiducia (che quasi sempre fa altre cose e non ha le competenze) o si avventurano indicendo una complessa gara di appalto. Naturalmente i requisiti e le procedura di una gara finiscono per  favorire grandi ditte appaltatrici che spesso non hanno competenze specifiche e che una volta acquisito l’incarico subappalteranno ad un’azienda informatica anche questa non sempre capace o che fa altre cose, che verrà pagata con una esigua parte dell’importo della gara. In conclusione la storia potrebbe raccontarsi così: di quella volta in cui  qualcuno, che  aveva bisogno di non so esattamente  cosa, si rivolse a qualcun’altro che si occupava di altro. che a sua volta incaricò un ulteriore altro di realizzare la cosa, anche se non era certo che ne fosse in grado ma tanto nessuno avrebbe avuto interesse a far funzionare qualcosa che in ogni caso nessuno sapeva esattamente cosa fosse.

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